domenica 19 dicembre 2010

Parola di vita di dicembre

"Nulla è impossibile a Dio" (Lc. 1,37)


dicembre 2010



La domanda di Maria, all'annuncio dell'Angelo: "Com'è possibile questo?" ebbe come risposta: "Nulla è impossibile a Dio" e, a riprova di ciò, le venne portato l'esempio di Elisabetta, che nella sua vecchiaia aveva concepito un figlio. Maria credette e divenne la Madre del Signore.
Dio è onnipotente: questo suo nome si incontra frequentemente nella Sacra Scrittura ed è usato quando si vuole esprimere la potenza di Dio nel benedire, nel giudicare, nel dirigere il corso degli eventi, nel realizzare i suoi disegni.
C'è un solo limite all'onnipotenza di Dio: la libertà umana, che si può opporre alla di lui volontà rendendo l'uomo impotente, mentre sarebbe chiamato a condividere la stessa forza di Dio.

"Nulla è impossibile a Dio"

[…] E' una Parola che ci apre ad una confidenza illimitata nell'amore di Dio-Padre, perché, se Dio è e il suo essere è Amore, la fiducia completa in lui non ne è che la logica conseguenza.
Tutte le grazie sono in suo potere: temporali e spirituali, possibili e impossibili. Ed egli le dà a chi le chiede e anche a chi non chiede, perché, come dice il Vangelo, egli, il Padre, "fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni" e a noi tutti chiede di agire come lui, con lo stesso amore universale, sostenuto dalla fede che:

"Nulla è impossibile a Dio"

Come vivere dunque questa Parola nella vita di ogni giorno?
Noi tutti dobbiamo affrontare di quando in quando situazioni difficili, dolorose, sia nella nostra vita personale, sia nei rapporti con gli altri. E sperimentiamo a volte tutta la nostra impotenza perché avvertiamo in noi degli attaccamenti a cose e persone che ci rendono schiavi di legami da cui vorremmo liberarci. Ci troviamo spesso di fronte ai muri dell'indifferenza e dell'egoismo e ci sentiamo cadere le braccia di fronte ad avvenimenti che sembrano superarci.
Ebbene, in questi momenti, la Parola di vita può venirci in aiuto. Gesù ci lascia fare l'esperienza della nostra incapacità, non già per scoraggiarci, ma per aiutarci a capire meglio che "nulla è impossibile a Dio"; per prepararci a sperimentare la straordinaria potenza della sua grazia, che si manifesta proprio quando vediamo che con le nostre povere forze non possiamo farcela.

"Nulla è impossibile a Dio"

Ripetendoci questo nei momenti più critici, ci verrà dalla Parola di Dio quell'energia che essa racchiude in sé, facendoci partecipare in qualche modo della stessa onnipotenza di Dio. Ad un patto, però, e cioè che si viva la sua volontà, cercando di irradiare attorno a noi quell'amore che è deposto nei nostri cuori. Così saremo all'unisono con l'Amore onnipotente di Dio per le sue creature, al quale tutto è possibile, ciò che concorre a realizzare i suoi piani sui singoli e sull'umanità.
Ma c'è un momento speciale per poter vivere questa Parola e per sperimentarne tutta l'efficacia: è nella preghiera.
Gesù ha detto che qualsiasi cosa chiederemo al Padre in nome suo egli ce la concederà. Proviamo dunque a chiedergli ciò che ci sta più a cuore con la certezza di fede che a lui nulla è impossibile: dalla soluzione di casi disperati, alla pace nel mondo; dalle guarigioni da malattie gravi, alla ricomposizione di conflitti familiari e sociali.
Se poi siamo in più a chiedere la stessa cosa, in pieno accordo per l'amore reciproco, allora è Gesù stesso in mezzo a noi che prega il Padre e, secondo la sua promessa, otterremo.
Con tale fede nell'onnipotenza di Dio e nel suo Amore, anche noi chiedemmo un giorno per N. che quel tumore, visto su una radiografia, "scomparisse", quasi fosse un errore o un fantasma. E così avvenne.
Questa fiducia sconfinata che ci fa sentire nelle braccia di un Padre al quale tutto è possibile, deve accompagnare sempre le vicende della nostra vita. Non è detto che otterremo sempre ciò che chiederemo. La sua è l'onnipotenza di un Padre e la usa sempre e soltanto per il bene dei suoi figli, che essi lo sappiano o no. L'importante è vivere coltivando la certezza che a Dio nulla è impossibile e questo ci farà sperimentare una pace mai provata.


Chiara Lubich

Parola di vita, dicembre 1999, pubblicata in Città Nuova, 1999/22, p.7.


Tantissimi auguri di buon Natale!!!


mercoledì 10 novembre 2010

Parola di vita di novembre

"Beati i puri di cuore perché vedranno Dio" (Mt 5,8)

novembre 2010



La predicazione di Gesù si apre col discorso della montagna. Davanti al lago di Tiberiade su una collina nei pressi di Cafarnao, seduto, come usavano fare i maestri, Gesù annuncia alle folle l'uomo delle beatitudini. Più volte nell'Antico Testamento risuonava la parola "beato" e cioè l'esaltazione di colui che adempiva, nei modi più vari, la Parola del Signore.
Le beatitudini di Gesù riecheggiavano in parte quelle che i discepoli già conoscevano; ma per la prima volta essi sentivano che i puri di cuore, non solo, come cantava il Salmo, erano degni di salire sul monte del Signore , ma addirittura potevano vedere Dio. Quale era dunque quella purezza così alta da meritare tanto? Gesù l'avrebbe spiegato più volte nel corso della sua predicazione. Cerchiamo perciò di seguirlo per attingere alla fonte dell'autentica purezza.

"Beati i puri di cuore perché vedranno Dio"

Anzitutto, secondo Gesù, vi è un mezzo sovrano di purificazione: "Voi siete già mondi in virtù della Parola che vi ho annunziato" . Non sono tanto degli esercizi rituali a purificare l'animo, ma la sua Parola. La Parola di Gesù non è come le parole umane. In essa è presente Cristo, come, in altro modo, è presente nell'Eucaristia. Per essa Cristo entra in noi e, finché la lasciamo agire, ci rende liberi dal peccato e quindi puri di cuore.
Dunque la purezza è frutto della Parola vissuta, di tutte quelle Parole di Gesù che ci liberano dai cosiddetti attaccamenti, nei quali necessariamente si cade, se non si ha il cuore in Dio e nei suoi insegnamenti. Essi possono riguardare le cose, le creature, se stessi. Ma se il cuore è puntato su Dio solo, tutto il resto cade.
Per riuscire in questa impresa, può essere utile, durante la giornata, ripetere a Gesù, a Dio, quell'invocazione del Salmo che dice: "Sei tu, Signore, l'unico mio bene!" . Proviamo a ripeterlo spesso, e soprattutto quando i vari attaccamenti vorrebbero trascinare il nostro cuore verso quelle immagini, sentimenti e passioni che possono offuscare la visione del bene e toglierci la libertà.
Siamo portati a guardare certi cartelloni pubblicitari, a seguire certi programmi televisivi? No, diciamogli: "Sei tu, Signore, l'unico mio bene" e sarà questo il primo passo che ci farà uscire da noi stessi, ri-dichiarando il nostro amore a Dio. E così avremo acquistato in purezza.
Avvertiamo a volte che una persona o un'attività si frappongono, come un ostacolo, fra noi e Dio e inquinano il nostro rapporto con Lui? E' il momento di ripeterGli: "Sei tu, Signore, l'unico mio bene". Questo ci aiuterà a purificare le nostre intenzioni e a ritrovare la libertà interiore.

"Beati i puri di cuore perché vedranno Dio"

La Parola vissuta ci rende liberi e puri perché è amore. E' l'amore che purifica, con il suo fuoco divino, le nostre intenzioni e tutto il nostro intimo, perché il "cuore" secondo la Bibbia è la sede più profonda dell'intelligenza e della volontà. Ma c'è un amore che Gesù ci comanda e che ci permette di vivere questa beatitudine. E' l'amore reciproco, di chi è pronto a dare la vita per gli altri, sull'esempio di Gesù. Esso crea una corrente, uno scambio, un'atmosfera la cui nota dominante è proprio la trasparenza, la purezza, per la presenza di Dio che, solo, può creare in noi un cuore puro . E' vivendo l'amore scambievole che la Parola agisce con i suoi effetti di purificazione e di santificazione.
L'individuo isolato è incapace di resistere a lungo alle sollecitazioni del mondo, mentre nell'amore vicendevole trova l'ambiente sano, capace di proteggere la sua purezza e tutta la sua autentica esistenza cristiana.

"Beati i puri di cuore perché vedranno Dio".


Ed ecco il frutto di questa purezza, sempre riconquistata: si può "vedere" Dio, cioè capire la sua azione nella nostra vita e nella storia, sentire la sua voce nel cuore, cogliere la sua presenza là dove è: nei poveri, nell'Eucaristia, nella sua Parola, nella comunione fraterna, nella Chiesa. E' un pregustare la presenza di Dio che comincia già da questa vita "camminando nella fede e non ancora in visione" fino a quando "vedremo faccia a faccia" eternamente.

Chiara Lubich

domenica 3 ottobre 2010

Parola di vita di ottobre


"Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Mt. 22,39)

ottobre 2010


Questa Parola la si trova già nell'Antico Testamento (2). Per rispondere ad una domanda, Gesù si inserisce nella grande tradizione profetica e rabbinica che era alla ricerca del principio unificatore della Torah, e cioè dell'insegnamento di Dio contenuto nella Bibbia. Rabbi Hillel, un suo contemporaneo, aveva detto: "Non fare al prossimo tuo ciò che è odioso a te, questa è tutta la legge. Il resto è solo spiegazione" (3).
Per i maestri dell'ebraismo l'amore del prossimo deriva dall'amore a Dio che ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza, per cui non si può amare Dio senza amare la sua creatura: questo è il vero motivo dell'amore del prossimo, ed è "un grande e generale principio nella legge" (4).
Gesù ribadisce questo principio e aggiunge che il comando di amare il prossimo è simile al primo e più grande comandamento, quello cioè di amare Dio con tutto il cuore, la mente e l'anima. Affermando una relazione di somiglianza fra i due comandamenti Gesù li salda definitivamente e così farà tutta la tradizione cristiana; come dirà lapidariamente l'apostolo Giovanni: "Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (5).

"Amerai il prossimo tuo come te stesso"

Prossimo – lo dice chiaramente tutto il Vangelo – è ogni essere umano, uomo o donna, amico o nemico, al quale si deve rispetto, considerazione, stima. L'amore del prossimo è universale e personale al tempo stesso. Abbraccia tutta l'umanità e si concreta in colui-che-ti-sta-vicino.
Ma chi può darci un cuore così grande, chi può suscitare in noi una tale benevolenza da farci sentire vicini – prossimi – anche coloro che sono più estranei a noi, da farci superare l'amore di sé, per vedere questo sé negli altri? E' un dono di Dio, anzi è lo stesso amore di Dio che "è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (6).
Non è quindi un amore comune, non una semplice amicizia, non la sola filantropia, ma quell'amore che è versato sin dal battesimo nei nostri cuori: quell'amore che è la vita di Dio stesso, della Trinità beata, al quale noi possiamo partecipare.
Dunque l'amore è tutto, ma per poterlo vivere bene occorre conoscere le sue qualità che emergono dal Vangelo e dalla Scrittura in genere e che ci sembra poter riassumere in alcuni aspetti fondamentali.
Per prima cosa Gesù, che è morto per tutti, amando tutti, ci insegna che il vero amore va indirizzato a tutti. Non come l'amore che viviamo noi tante volte, semplicemente umano, che ha un raggio ristretto: la famiglia, gli amici, i vicini… L'amore vero che Gesù vuole non ammette discriminazioni: non distingue tanto la persona simpatica dall'antipatica, non c'è per esso il bello, il brutto, il grande o il piccolo; per questo amore non c'è quello della mia patria o lo straniero, quello della mia Chiesa o di un'altra, della mia religione o di un'altra. Tutti ama quest'amore. E così dobbiamo fare noi: amare tutti.
L'amore vero, ancora, ama per primo, non aspetta di essere amato, come in genere è dell'amore umano: si ama chi ci ama. No, l'amore vero prende l'iniziativa, come ha fatto il Padre quando, essendo noi ancora peccatori, quindi non amanti, ha mandato il Figlio per salvarci.
Quindi: amare tutti e amare per primi.
E ancora: l'amore vero vede Gesù in ogni prossimo: "L'hai fatto a me" ci dirà Gesù al giudizio finale (7). E ciò vale per il bene che facciamo e anche per il male purtroppo.
L'amore vero ama l'amico e anche il nemico: gli fa del bene, prega per lui.
Gesù vuole anche che l'amore, che egli ha portato sulla terra, diventi reciproco: che l'uno ami l'altro e viceversa, sì da arrivare all'unità.
Tutte queste qualità dell'amore ci fanno capire e vivere meglio la parola di vita di questo mese.

"Amerai il prossimo tuo come te stesso".

Sì, l'amore vero ama l'altro come se stesso. E ciò va preso alla lettera: occorre proprio vedere nell'altro un altro sé e fare all'altro quello che si farebbe a sé stessi. L'amore vero è quello che sa soffrire con chi soffre, godere con chi gode, portare i pesi altrui, che sa, come dice Paolo, farsi uno con la persona amata. E' un amore, quindi, non solo di sentimento, o di belle parole, ma di fatti concreti.
Chi ha un altro credo religioso cerca pure di fare così per la cosiddetta "regola d'oro" che ritroviamo in tutte le religioni. Essa vuole che si faccia agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi. Gandhi la spiega in modo molto semplice ed efficace: "Non posso farti del male senza ferirmi io stesso" (8).
Questo mese, dunque, deve essere un'occasione per rimettere a fuoco l'amore del prossimo, che ha così tanti volti: dal vicino di casa, alla compagna di scuola, dall'amico alla parente più stretta. Ma ha anche i volti di quell'umanità angosciata che la TV porta nelle nostre case dai luoghi di guerra e di catastrofi naturali. Una volta erano sconosciuti e lontani mille miglia. Ora sono divenuti anch'essi nostri prossimi.
L'amore ci suggerirà volta per volta cosa fare, e dilaterà a poco a poco il nostro cuore sulla misura di quello di Gesù.

Chiara Lubich

1. Parola di vita, ottobre 1999, pubblicata in Città Nuova, 1999/18, p.7.

2. Lv 19,18.

3. Talmud Babilonese Shabbat, 31a.

4. Rabbi Akiba, cit. in Sifra, commentario rabbinico a Lv 19,18.

5. 1 Gv 4,20.

6. Rm 5,5.

7. Cf Mt 25,40.

8. Cf WILHELM MUHS, Parole del cuore, Milano 1996, p.82.

lunedì 20 settembre 2010

Un luminoso capolavoro. Beatificazione di Chiara "Luce" Badano







L’eroismo possibile a 18 anni. Lo ha riconosciuto il Papa approvando un decreto della Congregazione delle Cause dei Santi, in cui si afferma che Chiara Badano ha praticato in grado eroico le virtù cristiane. Secondo la procedura tipica dei processi di beatificazione, la giovane 18enne viene dichiarata “venerabile”. E’ la tappa immediatamente precedente la beatificazione, quando e se verrà riconosciuta l’autenticità di un miracolo.

Chiara Luce ha concluso il suo ‘viaggio terreno’ il 7 ottobre 1990, dopo due anni di una lunga e dolorosa malattia, un tumore osseo, che le toglie progressivamente le forze, ma non la gioia di vivere. Una gioia conquistata con eroismo.

L’eroicità si ha quando il comportamento virtuoso si prolunga nel tempo ed è reso particolarmente difficile, tanto che supera il modo normale di agire, manifestando in tal modo la costante determinazione di conformarsi in tutto alla volontà di Dio.” Così spiega Mons. Livio Maritano, Vescovo emerito di Acqui, che ha avviato nel 1999 l’inchiesta diocesana per il processo di beatificazione.

A sostenerla nei momenti più duri della prova è il Vangelo, e l’incontro con un Dio vicino, sofferente anche lui, riscoperto nella figura di Gesù che sulla croce giunge a gridare l’abbandono del Padre. Una fede viva, giovane, che attingeva a piene mani dall’incontro con la spiritualità dell’unità e con Chiara Lubich, avvenuto all’età di 9 anni.

Chiara Badano era nata a Sassello (Savona), il 29 ottobre del 1971, dopo 11 anni di attesa dei suoi genitori. Nell’81, con papà e mamma, partecipa a Roma al Family Fest - una manifestazione mondiale del Movimento dei Focolari: è l’inizio, per tutti e tre, di una nuova vita. Nel suo piccolo paese Chiara si lancia ad amare le compagne di scuola, chiunque le passa accanto, decisa a vivere con radicalità il Vangelo che l’ha affascinata. Si impegna subito con passione nel Movimento, tra le ragazze della sua età.

Ha 17 anni quando un forte dolore alla spalla accusato durante una partita a tennis insospettisce i medici. Cominciano esami clinici di tutti i tipi per definire l’origine del male. Ben presto si rivela l’origine del grave male che l’ha colpita: tumore osseo. Si susseguono controlli medici ed esami e a fine febbraio ’89 Chiara affronta il primo intervento: le speranze sono poche. Nell’ospedale si alternano le ragazze che condividono lo stesso ideale e altri amici del Movimento per sostenere lei e la sua famiglia con l’unità e gli aiuti concreti. I ricoveri nell’ospedale di Torino diventano sempre più frequenti e con essi le cure molto dolorose che Chiara affronta con grande coraggio. Ad ogni nuova, dolorosa “sorpresa” la sua offerta è decisa: “Per te Gesù, se lo vuoi tu, lo voglio anch’io!”.

Nonostante la gravità delle sue condizioni, Chiara, appena la salute glielo permette, partecipa di persona, con gioia ed entusiasmo a quanto si vive nel Movimento dei Focolari.

Presto arriva un’altra grande prova: Chiara perde l’uso delle gambe. Un nuovo doloroso intervento si rivela inutile. E’ per lei una sofferenza immensa: si ritrova come in un tunnel oscuro. Ma trova la forza di ributtarsi ad amare e la luce torna. “Se dovessi scegliere fra camminare e andare in Paradiso – confida a qualcuno – sceglierei senza esitare: andare in Paradiso. Ormai mi interessa solo quello”.

Sin da piccola si era impegnata a vivere il Vangelo al 100%, pur con gli alti e bassi dell’adolescenza. Scrive nella sua agenda rivolgendosi agli amici: “Sono uscita dalla vostra vita in un attimo. Come avrei voluto fermare quel treno in corsa che mi allontanava sempre più! Ma ancora non capivo. Ero ancora assorbita da tante ambizioni, progetti e chissà che cosa (che ora mi sembrano così insignificanti, futili, e passeggeri). Un altro mondo mi attendeva e non mi restava che abbandonarmi. Ma ora mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela”.

Il suo medico curante, non credente e critico nei confronti della Chiesa, rimane toccato sempre più profondamente dalla testimonianza sua e dei genitori: “Da quando ho conosciuto Chiara qualcosa è cambiato dentro di me. Qui c’è coerenza, qui del cristianesimo tutto mi quadra”.

Il suo rapporto con Chiara Lubich è strettissimo: la tiene continuamente aggiornata sullo stato della sua salute e sulle sue conquiste e scoperte. Il 30 dicembre ‘89 Chiara Lubich le risponde: “… Ti sento tutta protesa a corrispondere all’amore di Dio e a dirgli il tuo continuo ‘sì’ . Io ti seguo costantemente con la mia preghiera e con tutto il mio amore. Ho scelto la Parola di vita che desideravi: ‘Chi rimane in me ed io in Lui, questi porta molto frutto’. Ciao, Chiara! Chiedo allo Spirito Santo per te il dono della fortezza, perché la tua anima, per l’amore a Gesù Abbandonato, possa sempre ‘cantare’ …

Pur ridotta ormai nell’immobilità Chiara è attivissima: tramite telefono segue il nascente gruppo dei Giovani per un mondo unito di Savona, si fa presente a Congressi e attività varie con messaggi, cartoline, cartelloni; fa pazzie per far conoscere amici e compagni di scuola ai gen e alle gen … Ne invita tanti al Genfest ’90 (manifestazione internazionale dei Giovani per un mondo unito, svoltasi a Roma nel maggio del ‘90), che ha la gioia di seguire in diretta grazie all’antenna parabolica montata sul tetto della sua casa.

All’inizio dell’estate i medici decidono di interrompere le terapie: il male è ormai inarrestabile. Subito la giovane informa Chiara Lubich della sua situazione. E’ il 19 luglio del ‘90: “La medicina ha deposto le sue armi. Interrompendo le cure, i dolori alla schiena sono aumentati e non riesco quasi più a girarmi sui fianchi. Mi sento così piccola e la strada da compiere è così ardua…, spesso mi sento soffocata dal dolore. Ma è lo Sposo che viene a trovarmi, vero? Sì, anch’io ripeto con te “Se lo vuoi tu, lo voglio anch’io”… Sono con te certa che insieme a Lui vinceremo il mondo!”

Chiara Lubich a giro di posta le risponde: “Non temere Chiara di dirGli il tuo sì momento per momento. Egli te ne darà la forza, siine certa! Anch’io prego per questo e sono sempre lì con te. Dio ti ama immensamente e vuole penetrare nell’intimo della tua anima e farti sperimentare gocce di cielo. “Chiara Luce” è il nome che ho pensato per te; ti piace? È la luce dell’Ideale che vince il mondo. Te lo mando con tutto il mio affetto…”

Con l’aggravarsi della malattia occorrerebbe intensificare la somministrazione di morfina, ma Chiara Luce la rifiuta: “Mi toglie la lucidità ed io posso offrire a Gesù solo il dolore”.

In un momento di particolare sofferenza fisica confida alla mamma che nel suo cuore sta cantando: “Eccomi Gesù anche oggi davanti a Te…”. Ormai ha chiaro che presto potrà incontrarLo e si prepara. Una mattina, dopo una notte difficile, le viene spontaneo ripetere a brevi intervalli: “Vieni Signore Gesù”. Sono le 11 quando inaspettatamente arriva a trovarla un sacerdote del Movimento. Chiara Luce è felicissima: da quando si era svegliata infatti desiderava ricevere Gesù Eucarestia. Diventa il suo viatico.

Chiara Luce parte per il Cielo il 7 ottobre 1990. Aveva pensato a tutto: ai canti per il suo funerale, ai fiori, alla pettinatura, al vestito, che aveva desiderato bianco, da sposa… Con una raccomandazione: ‘Mamma, mentre mi prepari dovrai sempre ripetere: ora Chiara Luce vede Gesù…. Siate felici perché io lo sono”. Il papà le aveva chiesto se era disponibile a donare le cornee: aveva risposto con un sorriso luminosissimo. Subito dopo la partenza di Chiara Luce per il Cielo arriva un telegramma di Chiara per i genitori: Ringraziamo Dio per questo suo luminoso capolavoro”.

La sua fama si diffonde: Chiara Luce diventa ben presto punto di riferimento di molti giovani, che trovano nelle vicende della sua esistenza il senso della vita, un ideale intramontabile. In molti, ogni 7 ottobre, anniversario della sua morte, si radunano nel cimitero a Sassello (SV) per ricordarla.

La proclamazione della venerabilità di Chiara Badano – dichiara Mons. Maritano - ci stimola a imitare il suo esempio che ci presenta un modo concreto di vivere il Vangelo: un’ulteriore conferma che il cristianesimo è veramente praticabile anche oggi, e anche da parte dei giovani, nelle situazioni ordinarie della vita”. “E’ bene far conoscere la sua testimonianza – continua - per l’aiuto che il suo esempio può offrire a persone di ogni età e condizione”.


In occasione della beatificazione di questa ragazza che ci ha testimoniato come il Vangelo non sia mai fuori moda, ci stiamo organizzando per partecipare alla cerimonia di beatificazione a Roma.

Alcune notizie tecniche:

Programma:

Sabato 25 settembre 2010

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ore 16.00 S. MESSA CON RITO DI BEATIFICAZIONE DI CHIARA “LUCE” BADANO
Santuario del Divino Amore - Via del Santuario, 10 - Roma - Val di Lata
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ore 20.30 UNA SERATA DI INCONTRO CON CHIARA “LUCE” BADANO
Aula Paolo VI - Città del Vaticano

Domenica 26 settembre 2010
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ore 10.30 S. MESSA DI RINGRAZIAMENTO PER LA BEATIFICAZIONE
Basilica di San Paolo fuori le Mura - Via Ostiense, 186 - Roma
Presiede S.Em. Card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato
ANGELUS di SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI (in collegamento)


Il costo è di 105 euro e comprende viaggio e alloggio con colazione. Il pranzo del sabato, la cena del sabato e il pranzo della domenica sono al sacco (per risparmiare).

Si prega di far pervenire iscrizione e acconto (30€) il più presto possibile a:

VICENZA: Fam. Benetti - 0444/574059
ALTO VICENTINO: Fam De Rizzo - 0445/530496
PADOVA: i focolari - 049/618477 e 049/8934055
ROVIGO: Fam. Gallian - 0425/360328
MEDIO BRENTA: Fam. Farina - 0424/510654



venerdì 10 settembre 2010

Parola di vita di settembre 2010

"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette". (Mt. 18,22)

Gesù con queste sue parole risponde a Pietro che, dopo aver ascoltato cose meravigliose dalla sua bocca, gli ha posto questa domanda: "Signore, quante volte dovrò perdonare a mio fratello, se pecca contro di me? fino a sette volte?". E Gesù: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".

Pietro, probabilmente, sotto l'influenza della predicazione del Maestro, aveva pensato di lanciarsi, buono e generoso com'era, nella sua nuova linea, facendo qualcosa di eccezionale: arrivando a perdonare fino a sette volte. […]
Ma Gesù rispondendo: "…fino a settanta volte sette", dice che per lui il perdono deve essere illimitato: occorre perdonare sempre.


"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".

Questa Parola fa ricordare il canto biblico di Lamech, un discendente di Adamo: "Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette" . Così inizia il dilagare dell'odio nei rapporti fra gli uomini del mondo: ingrossa come un fiume in piena.
A questo dilagare del male, Gesù oppone il perdono senza limite, incondizionato, capace di rompere il cerchio della violenza.
Il perdono è l'unica soluzione per arginare il disordine e aprire all'umanità un futuro che non sia l'autodistruzione.

"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".


Perdonare. Perdonare sempre. Il perdono non è dimenticanza che spesso significa non voler guardare in faccia la realtà. Il perdono non è debolezza, e cioè non tener conto di un torto per paura del più forte che l'ha commesso. Il perdono non consiste nell'affermare senza importanza ciò che è grave, o bene ciò che è male.
Il perdono non è indifferenza. Il perdono è un atto di volontà e di lucidità, quindi di libertà, che consiste nell'accogliere il fratello e la sorella così com'è, nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi peccatori, nonostante i nostri difetti. Il perdono consiste nel non rispondere all'offesa con l'offesa, ma nel fare quanto Paolo dice: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male" .
Il perdono consiste nell'aprire a chi ti fa del torto la possibilità d'un nuovo rapporto con te, la possibilità quindi per lui e per te di ricominciare la vita, d'aver un avvenire in cui il male non abbia l'ultima parola.

"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette".

Come si farà allora a vivere questa Parola?
Pietro aveva chiesto a Gesù: "Quante volte dovrò perdonare a mio fratello?".
E Gesù, rispondendo, aveva di mira, dunque, soprattutto i rapporti fra cristiani, fra membri della stessa comunità.
E' dunque prima di tutto con gli altri fratelli e sorelle nella fede che bisogna comportarsi così: in famiglia, sul lavoro, a scuola o nella comunità di cui si fa parte.
Sappiamo quanto spesso si vuole compensare con un atto, con una parola corrispondente, l'offesa subita.
Si sa come per diversità di carattere, o per nervosismo, o per altre cause, le mancanze di amore sono frequenti fra persone che vivono insieme. Ebbene, occorre ricordare che solo un atteggiamento di perdono, sempre rinnovato, può mantenere la pace e l'unità tra fratelli.
Ci sarà sempre la tendenza a pensare ai difetti delle sorelle e dei fratelli, a ricordarsi del loro passato, a volerli diversi da come sono… Occorre far l'abitudine a vederli con occhio nuovo e nuovi loro stessi, accettandoli sempre, subito e fino in fondo, anche se non si pentono.
Si dirà: "Ma ciò è difficile". Si capisce. Ma qui è il bello del cristianesimo. Non per nulla siamo alla sequela di Cristo che, sulla croce, ha chiesto perdono al Padre per coloro che gli avevano dato la morte, ed è risorto.
Coraggio. Iniziamo una vita così, che ci assicura una pace mai provata e tanta gioia sconosciuta.


Chiara Lubich

giovedì 29 luglio 2010

Parola di vita di agosto

Agosto 2010

"E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore." (Lc 1,45)



Questa Parola fa parte di un avvenimento semplice e altissimo al tempo stesso: è l'incontro fra due gestanti, fra due madri, la cui simbiosi spirituale e fisica con i loro figli è totale. Sono esse la loro bocca, i loro sentimenti. Quando parla Maria, il bambino di Elisabetta fa un balzo di gioia nel suo ventre. Quando parla Elisabetta sembra che le parole le siano messe sulle labbra dal Precursore. Ma mentre le prime parole del suo inno di lode a Maria sono rivolte personalmente alla madre del Signore, le ultime sono dette in terza persona: "Beata colei che ha creduto".
Così la sua "affermazione acquista carattere di verità universale: la beatitudine vale per tutti i credenti, concerne coloro che accolgono la Parola di Dio e la mettono in pratica e che trovano in Maria il modello ideale" .

"E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore."


E' la prima beatitudine del Vangelo che riguarda Maria, ma anche tutti coloro che la vogliono seguire e imitare.
C'è uno stretto legame, in Maria, tra fede e maternità, come frutto dell'ascolto della Parola. E Luca qui ci suggerisce qualcosa che riguarda anche noi. Più avanti nel suo Vangelo Gesù dice: "Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica" .
Anticipando quasi queste parole, Elisabetta, mossa dallo Spirito Santo, ci annuncia che ogni discepolo può diventare "madre" del Signore. La condizione è che creda alla Parola di Dio e che la viva.

"E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore."

Maria, dopo Gesù, è colei che meglio e più perfettamente ha saputo dire "sì" a Dio. E' soprattutto questa la sua santità e la sua grandezza. E se Gesù è il Verbo, la Parola incarnata, Maria, per la sua fede nella Parola è la Parola vissuta, ma creatura come noi, uguale a noi.
Il ruolo di Maria come madre di Dio è eccelso e grandioso. Ma Dio non chiama solo la Vergine a generare Cristo in sé. Seppure in altro modo, ogni cristiano ha un simile compito: quello di incarnare Cristo fino a ripetere, come san Paolo: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" .
Ma come attuare ciò?
Con l'atteggiamento di Maria verso la Parola di Dio e cioè di totale disponibilità. Credere dunque, con Maria, che si realizzeranno tutte le promesse contenute nella Parola di Gesù e affrontare, come Maria, se occorre, il rischio dell'assurdo che alle volte la sua Parola comporta.
Grandi e piccole cose, ma sempre meravigliose, accadono a chi crede nella Parola. Si potrebbero riempire dei libri con i fatti che lo provano.
Chi può dimenticare quando, in piena guerra, credendo alle parole di Gesù "chiedete e vi sarà dato" abbiamo chiesto tutto quello di cui tanti poveri in città avevano bisogno e vedevamo arrivare sacchi di farina, scatole di latte, di marmellata, legna, vestiario?
Anche oggi accadono le stesse cose. "Date e vi sarà dato" e i magazzini della carità sono sempre pieni, essendo regolarmente svuotati.
Ma ciò che colpisce di più è come le parole di Gesù sono vere sempre e dovunque. E l'aiuto di Dio arriva puntuale anche in circostanze impossibili, e nei punti più isolati della terra, come è accaduto poco tempo fa ad una madre che vive in grande povertà. Un giorno si è sentita spinta a dare i suoi ultimi soldi ad una persona più povera di lei. Credeva a quel "date e vi sarà dato" del Vangelo. E aveva una grande pace nell'animo. Poco dopo è arrivata la sua bambina più piccola e le ha mostrato un dono appena ricevuto da un anziano parente che, per caso, era passato di lì: nella sua manina c'erano i soldi moltiplicati.
Una "piccola" esperienza come questa ci spinge a credere nel Vangelo; e ciascuno di noi può provare quella gioia, quella beatitudine che viene dal vedere realizzate le promesse di Gesù.
Quando, nella vita di tutti i giorni, nella lettura delle Sacre Scritture ci incontreremo con la Parola di Dio, apriamo il nostro cuore all'ascolto, con la fede che ciò che Gesù ci chiede e promette si avvererà. Non tarderemo a scoprire, come Maria e come quella madre, che Egli mantiene le sue promesse.

Chiara Lubich - Parola di vita, agosto 1999, pubblicata in Città Nuova, 1999/14, p. 33

Parola di vita di luglio 2010

Luglio 2010

"Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra". (Mt 13,45-46)



In questa brevissima parabola, Gesù colpisce fortemente l’immaginazione dei suoi ascoltatori. Tutti sapevano il valore delle perle che, assieme all’oro, erano allora quanto di più prezioso si conoscesse.
In più, le Scritture parlavano della sapienza e cioè della conoscenza di Dio come di qualcosa da non paragonare "neppure a una gemma inestimabile" .
Ma viene in rilievo nella parabola l’avvenimento eccezionale, sorprendente e inatteso che rappresenta per quel commerciante l’aver adocchiato, forse in un bazar, una perla che solo ai suoi occhi esperti aveva un valore enorme e dalla quale perciò poteva ricavare un ottimo profitto. Ecco perché, avendo fatto i suoi calcoli, decide che valeva la pena di vendere tutto per comprare la perla. E chi non avrebbe fatto lo stesso al suo posto?
Ecco dunque il significato profondo della parabola: l’incontro con Gesù, e cioè con il Regno di Dio fra noi – ecco la perla! -, è quell’occasione unica che bisogna prendere al volo, impegnando fino in fondo tutte le proprie energie e ciò che si possiede.

"Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra".

Non è la prima volta che i discepoli si sentono messi di fronte ad un’esigenza radicale e cioè a quel tutto che bisogna lasciare per seguire Gesù: i beni più preziosi quali gli affetti familiari, la sicurezza economica, le garanzie per il futuro.
Ma la sua non è una richiesta immotivata e assurda.
Per un "tutto" che si perde c’è un "tutto" che si trova, inestimabilmente più prezioso. Ogni volta che Gesù domanda qualcosa, promette anche di dare molto, molto di più, in misura sovrabbondante.
Così con questa parabola ci assicura che avremo tra le mani un tesoro che ci farà ricchi per sempre.
E, se può sembrare un errore lasciare il certo per l’incerto, un bene sicuro per un bene solo promesso, pensiamo a quel mercante: egli sa che quella perla è molto preziosa ed attende fiducioso ciò che gli procurerà trafficandola.
Così chi vuol seguire Gesù sa, vede, con gli occhi della fede, quale immenso guadagno sarà condividere con lui l'eredità del Regno per aver tutto lasciato almeno spiritualmente.
A tutti gli uomini Dio offre nella vita un’occasione del genere perché la sappiano afferrare.

"Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra".

E’ un invito concreto a mettere da parte tutti quegli idoli che nel cuore possono prendere il posto di Dio: carriera, matrimonio, studi, una bella casa, la professione, lo sport, il divertimento.
E’ un invito a mettere Dio al primo posto, al vertice di ogni nostro pensiero, di ogni nostro affetto perché tutto nella vita deve convergere a lui e tutto da lui deve discendere.
Facendo così, cercando il Regno, secondo la promessa evangelica, il resto ci sarà dato in sovrappiù . Accantonando tutto per il Regno di Dio riceviamo il centuplo in case, fratelli, sorelle, padri e madri , perché il Vangelo ha una chiara dimensione umana: Gesù è uomo-Dio e insieme al cibo spirituale ci assicura il pane, la casa, il vestito, la famiglia.
Forse dovremmo imparare dai "piccoli" a fidarci di più della Provvidenza del Padre, che non fa mancare nulla a chi dà, per amore, tutto quel poco che ha.
In Congo un gruppo di ragazzi fabbricano da alcuni mesi cartoline artistiche con la scorza di banana, vendute poi in Germania. In un primo momento trattengono tutto il ricavato (qualcuno mantiene con ciò l'intera famiglia). Ora hanno deciso di mettere il 50% in comune e 35 giovani disoccupati hanno ricevuto un aiuto.
E Dio non si lascia vincere in generosità: due di questi ragazzi hanno dato una tale testimonianza nel negozio ove sono impiegati, che diversi commercianti, in cerca di personale, si sono rivolti a quel negozio. Ben in undici hanno così trovato un lavoro fisso.

Chiara Lubich

giovedì 3 giugno 2010

Parola di vita di giugno

"Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà" (Mt 10.39)


Giugno 2010



Leggendo questa Parola di Gesù vengono in rilievo due tipi di vita: la vita terrena che si costruisce in questo mondo, e la vita soprannaturale data da Dio, attraverso Gesù, vita che non finisce con la morte e che nessuno può togliere.
Di fronte all'esistenza, allora, si possono avere due atteggiamenti: o attaccarsi alla vita terrena, considerandola come l'unico bene, e saremo portati a pensare a noi stessi, alle nostre cose, alle creature; ci chiuderemo nel nostro guscio, affermando solo il proprio io, e troveremo come conclusione alla fine, inevitabilmente, solo la morte. Oppure, diversamente, credendo che abbiamo ricevuto da Dio un'esistenza ben più profonda e autentica, avremo il coraggio di vivere in modo da meritare questo dono fino al punto di saper sacrificare la nostra vita terrena per l'altra.

"Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà"

Quando Gesù ha detto queste parole pensava al martirio. Noi, come ogni cristiano, dobbiamo essere pronti, per seguire il Maestro e rimanere fedeli al Vangelo, a perdere la nostra vita, morendo - se necessario - anche di morte violenta, e con la grazia di Dio ci sarà data con ciò la vera vita. Gesù per primo ha "perso la sua vita" e l'ha ottenuta glorificata. Egli ci ha preavvertito di non temere "quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima" .
Oggi ci dice:

"Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà"

Se leggi attentamente il Vangelo, vedrai che Gesù torna su questo concetto per ben sei volte. Ciò sta a dimostrare che importanza esso abbia e in quale considerazione Gesù lo tenga.
Ma l'esortazione a perdere la propria vita non è per Gesù soltanto un invito a sostenere anche il martirio. E' una legge fondamentale della vita cristiana.
Occorre esser pronti a rinunciare a fare di se stessi l'ideale della vita, a rinunciare alla nostra indipendenza egoistica. Se vogliamo essere veri cristiani dobbiamo fare di Cristo il centro della nostra esistenza. E cosa Cristo vuole da noi? L'amore per gli altri. Se faremo nostro questo suo programma, avremo certamente perso noi stessi e trovato la vita.
E questo non vivere per sé, non è certamente, come qualcuno può pensare, un atteggiamento rinunciatario e passivo. L'impegno del cristiano è sempre assai grande e il suo senso di responsabilità è totale.

"Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà"

Fin da questa terra si può fare l'esperienza che nel dono di se stessi, nell'amore vissuto, cresce in noi la vita. Quando avremo speso la nostra giornata al servizio degli altri, quando avremo saputo trasformare il lavoro quotidiano, magari monotono e duro, in un gesto d'amore, proveremo la gioia di sentirci più realizzati.

"Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà"

Seguendo i comandi di Gesù, che sono tutti imperniati sull'amore, dopo questa breve esistenza troveremo anche quella eterna.
Ricordiamo quale sarà il giudizio di Gesù nell'ultimo giorno. Egli dirà a quelli che stanno alla sua destra: "Venite, benedetti... perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare...; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito..." .
Per farci partecipi dell'esistenza che non passa, guarderà unicamente se avremo amato il prossimo e riterrà fatto a sé quanto abbiamo fatto ad esso.
Come vivremo allora questa Parola? Come perderemo sin da oggi la nostra vita per trovarla?
Preparandoci al grande e decisivo esame per il quale siamo nati.
Guardiamoci attorno e riempiamo la giornata di atti di amore. Cristo si presenta a noi nei nostri figli, nella moglie, nel marito, nei compagni di lavoro, di partito, di svago, ecc. Facciamo del bene a tutti. E non dimentichiamo quelli di cui veniamo a conoscenza ogni giorno sui giornali o attraverso amici o per mezzo della televisione... Facciamo per tutti qualcosa, secondo le nostre possibilità. E quando quelle ci sembrassero esaurite, potremo ancora pregare per loro. E' amore che vale.

Chiara Lubich

giovedì 20 maggio 2010

Parola di vita di maggio

"Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui"

(Gv 14,21)


Nell'ultimo discorso di Gesù, l'amore è al centro: l'amore del Padre per il Figlio, l'amore per Gesù che è osservanza dei suoi comandamenti.
Coloro che ascoltavano Gesù non facevano fatica a riconoscere nelle sue parole un'eco dei Libri sapienziali: "l'amore è osservanza delle sue leggi" e "facilmente è contemplata - la Sapienza - da chi l'ama" . E soprattutto quel manifestarsi a chi lo ama trova il suo parallelo veterotestamentario in Sap 1,2, dove si dice che il Signore si manifesterà a coloro che credono in lui.
Ora il senso di questa Parola, che proponiamo, è: chi ama il Figlio è amato dal Padre, ed è riamato dal Figlio che si manifesta a lui.

"Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui"

(Gv 14,21)

Tale manifestazione di Gesù chiede però di amare.
Non si concepisce un cristiano che non abbia questo dinamismo, questa carica d'amore nel cuore. Un orologio non funziona, non dà l'ora - e si può dire che non è neppure un orologio - se non è carico. Così un cristiano, che non è sempre nella tensione di amare, non merita il nome di cristiano.

E questo perché tutti i comandamenti di Gesù si riassumono in uno solo: in quello dell'amore per Dio e il prossimo, nel quale vedere e amare Gesù.
L'amore non è mero sentimentalismo ma si traduce in vita concreta, nel servizio ai fratelli, specie quelli che ci stanno accanto, cominciando dalle piccole cose, dai servizi più umili.
Dice Charles de Foucauld: "Quando si ama qualcuno, si è molto realmente in lui, si è in lui con l'amore, si vive in lui con l'amore, non si vive più in sé, si è 'distaccati' da sé, 'fuori' di sé" .
Ed è per questo amore che si fa strada in noi la sua luce, la luce di Gesù, secondo la sua promessa: "A chi mi ama ... mi manifesterò a lui" . L'amore è fonte di luce: amando si comprende di più Dio che è amore.
E questo fa sì che si ami ancora di più e si approfondisca il rapporto con i prossimi.

Questa luce, questa conoscenza amorosa di Dio è dunque il suggello, la riprova del vero amore. E la si può sperimentare in vari modi, perché in ciascuno di noi la luce assume un colore, una sua tonalità. Ma ha delle caratteristiche comuni: ci illumina sulla volontà di Dio, ci dà pace, serenità, e una comprensione sempre nuova della Parola di Dio. E' una luce calda che ci stimola a camminare nella via della vita in modo sempre più sicuro e spedito. Quando le ombre dell'esistenza ci rendono incerto il cammino, quando addirittura fossimo bloccati dall'oscurità, questa Parola del Vangelo ci ricorderà che la luce s'accende con l'amore e che basterà un gesto concreto d'amore anche piccolo (una preghiera, un sorriso, una parola), a darci quel barlume che ci permette di andare avanti.

Quando si va in bicicletta di notte, se ci si ferma si piomba nel buio, ma se ci si rimette a pedalare la dinamo darà la corrente necessaria per vedere la strada.
Così è nella vita: basta rimettere in moto l'amore, quello vero, quello che dà senza aspettarsi nulla, per riaccendere in noi la fede e la speranza.

Chiara Lubich

venerdì 30 aprile 2010

Prendi la palla al balzo!

Ciao ragazzi!!!

Per la

S e t t i m a n a

M
o n d o

U
n i t o


2 0 1 0

Vicenza organizza un pomeriggio di sport!

SABATO 8 MAGGIO DALLE 15
PRESSO IST. BARONIO
VICENZA
(in Viale Trento)


Sarà un'occasione per mettersi in gioco, letteralmente,
e per vivere insieme un pomeriggio di sport!
Son previste partite di calcetto e pallavolo!


Il ricavato della giornata andrà ai progetti DARE del Cile e Brasile
e a fine giornata ci sarà un buffet per recuperare le energie.


Vi chiediamo di darci una
conferma
della vostra presenza (con eventuali amici)
entro giovedì 6 maggio
ai contatti che trovate nel volantino

in modo
da saperci regolare!!


Età dei giovani invitati: dai 17 in su.


Aspettandovi numerosi, i gen e le gen di Vicenza



giovedì 15 aprile 2010

Primo maggio

Ciao ragazzi!!!

Siete tutti invitati il prossimo 1 e 2 Maggio a Loppiano,
frazione di Incisa Val d'Arno (FI)!!!


Sarà un weekend di divertimento, conoscenza di oltre 5.000 giovani da tutto il mondo, di varie culture, etnie e religioni!!!

Ci saranno molti workshop, sopratutto sul tema della pace e del disarmo internazionale.

Il tutto alla modica cifra di 30 €!!!

Che volete di più??!!!

Senza stancarvi con altre spiegazioni e dettagli tecnici andate subito a vedere il blog di Progress

(http://blogress.weebly.com/index.html)


Vi preghiamo di far pervenire a questa casella di posta ogni adesione, dubbio, perplessità... oppure di contattare il numero di Mario indicato nel volatino!


Iscrizioni entro il 20 aprile con il vostro nome, cognome, cellulare e data di nascita (vedi blog).


Vi aspettiamo numerosi!!!


E per i più intrepidi è in preparazione un megatorneo di pallavolo

a Vicenza per sabato 8 maggio!!!

A presto altre news!

giovedì 1 aprile 2010

Parola di vita di Aprile 2010

Buona Pasqua a tutti!!!





"Io sono la risurrezione e la vita" (Gv 11,25)

Parola di vita di aprile 2010



Gesù pronunciò queste parole in occasione della morte di Lazzaro di Betania, che poi Egli al quarto giorno risuscitò.
Lazzaro aveva due sorelle: Marta e Maria.
Marta, appena seppe che arrivava Gesù, gli corse incontro e gli disse: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!". Gesù le rispose: "Tuo fratello risusciterà". Marta replicò: "So che risusciterà nell'ultimo giorno". E Gesù dichiara: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno".

"Io sono la risurrezione e la vita".

Gesù vuol fare intendere chi egli è per l'uomo. Gesù possiede il bene più prezioso che si possa desiderare: la Vita, quella Vita che non muore.
Se hai letto il Vangelo di Giovanni, avrai trovato che Gesù ha pure detto: “Come il Padre ha la Vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la Vita in se stesso” .
E poiché Gesù ha la Vita, la può comunicare.

"Io sono la risurrezione e la vita".

Anche Marta crede alla risurrezione finale: "So che risusciterà nell'ultimo giorno".
Ma Gesù, con la sua affermazione meravigliosa: "Io sono la risurrezione e la vita", le fa capire che non deve attendere il futuro per sperare nella risurrezione dei morti. Già adesso, nel presente, egli è per tutti i credenti, quella Vita divina, ineffabile, eterna, che non morirà mai.
Se Gesù è in loro, se egli è in te, non morirai. Questa Vita nel credente è della stessa natura di Gesù risorto e quindi ben diversa dalla condizione umana in cui si trova.
E questa straordinaria Vita, che già esiste anche in te, si manifesterà pienamente nell'ultimo giorno, quando parteciperai, con tutto il tuo essere, alla risurrezione futura.


"Io sono la risurrezione e la vita".

Certamente Gesù con queste parole non nega che ci sia la morte fisica. Ma essa non implicherà la perdita della Vita vera. La morte resterà per te, come per tutti, un'esperienza unica, fortissima e forse temuta. Ma non significherà più il non senso di un'esistenza, non sarà più l'assurdo, il fallimento della vita, la tua fine. La morte, per te, non sarà più realmente una morte.

"Io sono la risurrezione e la vita".

E quando è nata in te questa Vita che non muore?
Nel battesimo. Lì, pur nella tua condizione di persona che deve morire, hai avuto da Cristo la Vita immortale. Nel battesimo, infatti, hai ricevuto lo Spirito Santo che è colui che ha risuscitato Gesù.
E condizione per ricevere questo sacramento è la tua fede, che hai dichiarato attraverso i tuoi padrini. Gesù, infatti, nell'episodio della risurrezione di Lazzaro, parlando a Marta, ha precisato: "Chi crede in me, anche se muore vivrà" (...) "Credi tu questo?" .
"Credere", qui, è un fatto molto serio, molto importante: non implica solo accettare le verità annunciate da Gesù, ma aderirvi con tutto l'essere.
Per avere questa vita, devi dunque dire il tuo sì a Cristo. E ciò significa adesione alle sue parole, ai suoi comandi: viverli. Gesù lo ha confermato: "Se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte" . E gli insegnamenti di Gesù sono riassunti nell'amore.
Non puoi, quindi, non essere felice: in te è la Vita!

"Io sono la risurrezione e la vita".

In questo periodo in cui ci si prepara alla celebrazione della Pasqua, aiutiamoci a fare quella sterzata, che occorre sempre rinnovare, verso la morte del nostro io perché Cristo, il Risorto, viva sin d'ora in noi.

Chiara Lubich

lunedì 1 marzo 2010

Da non perdere!!!

Ci siamo!
Venerdì prossimo venturo - 5 marzo 2010 - al Collegio Don Mazza, Via Savonarola 176, Padova,
grande serata per il progetto Progress con un "big" d'eccezione:
l'economista Stefano Zamagni
(per chi non lo conosce vedi anche http://it.wikipedia.org/wiki/Stefano_Zamagni)
Il tema è di grande attualità:
ECONOMIA ED ETICA: TRA GLOBALIZZAZIONE, CRISI E FALSI MITI.

Vi aspettiamo numerosi!!!


Parola di vita di marzo 2010

Marzo 2010


“In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile” (Mt 17,20)



Quante volte nella vita senti il bisogno che qualcuno ti dia una mano e nello stesso tempo avverti che nessun uomo può risolvere la tua situazione! E’ allora che ti rivolgi inavvertitamente a Qualcuno che sa rendere le cose impossibili possibili. Questo Qualcuno ha un nome: è Gesù.
Ascolta quanto ti dice:

“In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile”


E’ ovvio che l’espressione “spostare le montagne” non vada presa alla lettera. Gesù non ha promesso ai discepoli un potere di fare miracoli spettacolari per stupire la folla. E difatti, se vai a cercare in tutta la storia della Chiesa, non troverai un santo – che io sappia – che abbia spostato le montagne con la fede. “Spostare le montagne” è un’iperbole, cioè un modo di dire volutamente esagerato, per inculcare nella mente dei discepoli il concetto che alla fede nulla è impossibile.
Ogni miracolo infatti che Gesù ha operato, direttamente o attraverso i suoi, è sempre stato fatto in funzione del Regno di Dio, o del Vangelo o della salvezza degli uomini. Spostare una montagna non servirebbe a questo.
Il paragone col “granellino di senapa” sta a indicare che Gesù non ti domanda una fede più o meno grande, ma una fede autentica. E la caratteristica della fede autentica è quella di poggiare unicamente su Dio e non sulle tue capacità.
Se ti assale il dubbio o l’esitazione nella fede significa che la tua fiducia in Dio non è ancora piena: hai una fede debole e poco efficace, che fa ancora leva sulle tue forze e sulla logica umana.
Chi invece si fida interamente di Dio, lascia che lui stesso agisca e… a Dio niente è impossibile.
La fede che Gesù vuole dai discepoli è proprio quell’atteggiamento pieno di fiducia che permette a Dio stesso di manifestare la sua potenza.
E questa fede, che quindi sposta le montagne, non è riservata a qualche persona eccezionale. Essa è possibile e doverosa per tutti i credenti.


“In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile”.


Si pensa che Gesù abbia detto queste parole ai suoi discepoli quando stava per inviarli in missione.
E’ facile scoraggiarsi e spaventarsi quando si sa di essere un piccolo gregge impreparato, senza talenti particolari, di fronte a folle innumerevoli alle quali bisogna portare la verità del Vangelo.
E’ facile perdersi d’animo di fronte a gente che ha tutt’altri interessi che il Regno di Dio.
Sembra un compito impossibile.
E’ allora che Gesù assicura i suoi che con la fede “sposteranno le montagne” dell’indifferenza, del disinteresse del mondo.
Se avranno fede nulla sarà loro impossibile.
Questa frase può essere inoltre applicata a tutte le altre circostanze della vita purché siano in ordine al progresso del Vangelo e alla salvezza delle persone.
Alle volte, di fronte a difficoltà insormontabili può nascere la tentazione di non rivolgersi nemmeno a Dio. La logica umana suggerisce: basta, tanto non serve.
Ecco allora che Gesù esorta a non scoraggiarsi e a rivolgersi a Dio con fiducia. Egli, in un modo o nell’altro, esaudirà.
Così è successo a Lella.
Erano trascorsi alcuni mesi dal giorno in cui aveva affrontato piena di speranza il nuovo lavoro nel Belgio tra fiamminghi. Ma ora un senso di sgomento e di solitudine le attanagliava l’anima.
Sembrava che tra lei e le altre ragazze con cui lavorava e viveva si fosse eretta una barriera insormontabile.
Si sentiva isolata, straniera tra quella gente che avrebbe voluto soltanto servire con amore.
Tutto dipendeva dal dover parlare una lingua che non era né sua, né di chi l’ascoltava. Le avevano detto che in Belgio tutti parlavano il francese e se l’era imparato, ma, venuta a contatto diretto con quel popolo, s’era accorta che i fiamminghi studiano il francese soltanto a scuola e in genere lo parlano malvolentieri.
Tante volte aveva tentato di spostare quella montagna di emarginazione che la teneva lontana dalle altre, ma invano. Che poteva fare per loro?
Vedeva ancora davanti a sé il volto della sua compagna Godeliève pieno di tristezza. Quella sera si era ritirata nella sua stanza senza toccar cibo.
Lella aveva tentato di seguirla, ma si era arrestata davanti alla porta della sua camera, timida e titubante. Avrebbe voluto bussare… ma quali parole usare per farsi intendere? Era rimasta lì per qualche secondo, poi si era arresa ancora una volta.
La mattina dopo entrò in chiesa e si mise in fondo, fra le ultime sedie, col viso tra le mani per non far scorgere ad alcuno le lacrime. Era quello l’unico posto dove non occorreva parlare un’altra lingua, dove non era neppure necessario spiegarsi, perché c’era Qualcuno che capiva al di là delle parole. Fu la certezza di quella comprensione che la fece ardita, e con l’anima angosciata chiese a Gesù: “Perché non posso dividere con le altre ragazze la loro croce e dire quelle parole che Tu stesso mi hai fatto capire quando Ti ho trovato: che ogni dolore è amore?”.
E stava davanti al tabernacolo quasi ad attendere una risposta da Chi nella vita le aveva illuminato ogni buio.
Abbassò gli occhi sul Vangelo di quel giorno e lesse: “Confidate – abbiate fede – ho vinto il mondo” . Quelle parole scesero come olio nell’anima di Lella, ed ebbe una grande pace.
Rientrando per la colazione si imbatté subito in Annj, la ragazza che badava all’ordine della casa. La salutò e la seguì fino alla dispensa; poi, senza parlare, cominciò ad aiutarla nel preparare la colazione.
La prima a scendere dalle stanze fu Godeliève. Veniva in cucina a cercarsi il caffè, in fretta per non veder nessuno. Ma lì si arrestò: la pace di Lella aveva toccato il suo animo in modo più forte di qualunque parola.
Quella sera, sulla strada del ritorno verso casa, Godeliève raggiunse Lella con la bicicletta e, sforzandosi di parlare in modo a lei comprensibile, le sussurrò: “Non sono necessarie le tue parole; oggi la tua vita mi ha detto: ‘Ama anche tu!’”.
La montagna si era spostata.

Chiara Lubich


martedì 2 febbraio 2010

Emergenza e solidarietà

Emergenza Haiti

Scatta in tutto il Movimento la solidarietà verso il poverissimo paese centroamericano devastato dal forte sisma

15/01/2010



Seguiamo con trepidazione gli aggiornamenti sul terremoto che ha devastato Haiti, il paese più povero del continente americano, e ridotto la capitale Port-au-Prince in un cumulo di macerie.

In tutto il Movimento è scattata una vasta azione di solidarietà per contribuire alla grave emergenza e, non appena possibile, alla ricostruzione.

Intanto, possiamo rassicurare i sostenitori del progetto “Sostegno a distanza” che i bambini inseriti nel programma educativo in atto nel nord est di Haiti, a Mont Organisé, stanno bene. “Tutti sono salvi, si è avvertita qualche scossa, ma senza nessun danno. Ma tutti hanno familiari a Port-au-Prince, e di loro è stato impossibile avere notizie”. È quanto ha fatto sapere la comunità del Movimento dei Focolari in Haiti, dove da quasi trent’anni è sorta e si è sviluppata, grazie agli stretti legami con il Movimento in Canada, anche attraverso il sostegno economico a distanza e altre iniziative.

Chi desidera partecipare a questa azione di solidarietà, può versare il proprio contributo a:

Giovani per un Mondo Unito (GMU)
-Conto corrente intestato a “PAMOM – Fondo Mondo Unito”
Intesa San Paolo, Filiale di Grottaferrata
Via delle Sorgenti, 128 – 00046 Grottaferrata (Roma) Italia
Codice IBAN: IT04 M030 6939 1401 0000 0640 100
Codice BIC: BCITITMM
Causale: Terremoto Haiti

Associazione “Azione per un Mondo Unito - Onlus” (AMU)
-Conto corrente postale n. 81065005
-Banca Etica, Filiale di Roma,
Via Parigi, 17 - 00185 Roma, Italia
Codice IBAN: IT16G0501803200000000120434
Codice BIC: CCRTIT2184D
Causale: Solidarietà per Haiti
(I contributi versati sono deducibili dal reddito)

AFN Azione per Famiglie Nuove – Onlus
Sostegno a distanza
via Isonzo,42
00046 Grottaferrata (Roma)
- Conto corrente postale n. 48075873
- Conto corrente bancario presso: BANCA PROSSIMA
Cod. IBAN IT55K0335901600100000001060
Causale: Solidarietà per Haiti
(I contributi versati sono deducibili dal reddito)


Haiti dopo il terremoto

Riportiamo quanto ci arriva dal coordinatore locale dei Focolari ad Haiti. In allestimento un centro di distribuzione di aiuti e in progetto un alloggio per 20 famiglie

20/01/2010




Tutti siamo stati partecipi in questi giorni della dolorosa situazione di Haiti e delle terribili conseguenze del fortissimo terremoto che ha devastato quelle terre.
Dal primo momento abbiamo ricevuto messaggi di solidarietà dalla famiglia del Focolare di tutto il mondo, con richieste di notizie e assicurazioni di preghiere per le molte vittime e per la nazione tutta.

Sei giorni dopo il devastante terremoto siamo riusciti a parlare telefonicamente con Wilfrid Joachin, coordinatore locale del Focolare, che vive a Mount-Organisé, una città nel nord di Haiti. Joachin fa un punto della situazione di questa parte del Paese: “Due dei nostri amici che studiano a Port-au-Prince sono sopravissuti. Quasi tutte le famiglie hanno perso uno o più dei loro membri nel terremoto, perché molte persone dai villaggi abitano temporaneamente nella capitale per studi o per lavoro. Una famiglia a Carice ha perso sette dei suoi otto figli. In questo momento, come conseguenza della distruzione a Port-au-Prince, tutti cercano di andare via dalla città, verso la campagna”.

“Molta gente della capitale è arrivata a Ounaminthe (città del nord-est, situata sulla frontiera con la Repubblica Dominicana), senza niente in mano, perché hanno perso tutto quanto avevano a Port-au-Prince. E non sanno dove andare, senza mangiare da giorni ed elemosinando cibo e alloggio. Lo stesso accade in altre città, come Mount-Organisé, Savanette, Carice. Tutto il Paese è distrutto, rasato al suolo dal grande disastro. Noi siamo venuti con l’idea di costruire un centro per le famiglie povere”.

Alcuni anni fa al Movimento dei Focolari in Haiti è stato dato un appezzamento di terra. Joachim e gli altri membri stanno adesso sviluppando un progetto per una costruzione che provvederà alloggio a venti famiglie. Nel frattempo, sarà allestito un centro di distribuzione di abiti, alimenti e di aiuto sanitario. C’è un ospedale vicino a Mount-Organisé e – continua Joachin - “ci prenderemo cura noi di queste famiglie, anche se le nostre risorse sono scarse”.

Il gruppo dei Focolari in Haiti dipende molto dall’aiuto dall’esterno per essere in grado di portare a compimento questo progetto. Perciò, si fa appello alla generosità di quanti vorranno aiutare. Si può partecipare da subito.

Per informazioni contattare: toronto@focolare.ca

Parola di vita di febbraio 2010

febbraio 2010

“Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo” (Gv 10,9)



Gesù si presenta come colui che realizza le promesse divine e le aspettative di un popolo la cui storia è tutta segnata dall’alleanza, mai revocata, con il suo Dio.
L’idea della porta assomiglia e si spiega bene con l’altra immagine usata da Gesù: “Io sono la via, nessuno va al Padre se non attraverso di me” Cf Gv 14,6. Dunque lui è veramente una strada e una porta aperta sul Padre, su Dio stesso.

“Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo”.

Cosa significa concretamente nella nostra vita questa Parola?
Sono tante le implicazioni che si deducono da altri passi del Vangelo che hanno attinenza con il brano di Giovanni, ma fra tutte scegliamo quella della “porta stretta” attraverso la quale sforzarsi di entrare Cf Mt 7,13 per entrare nella vita.
Perché questa scelta? Perché ci sembra quella che forse più ci avvicina alla verità che Gesù dice su se stesso e più ci illumina sul come viverla.
Quando diventa, egli, la porta spalancata, pienamente aperta sulla Trinità? Là dove la porta del Cielo sembra chiudersi per lui, egli diviene la porta del Cielo per tutti noi.
Gesù abbandonato è la porta attraverso la quale avviene lo scambio perfetto tra Dio e l’umanità: fattosi nulla, unisce i figli al Padre. E’ quel vuoto (il vano della porta) per cui l’uomo viene in contatto con Dio e Dio con l’uomo.
Dunque lui è la porta stretta e la porta spalancata nello stesso tempo, e di questo possiamo farne esperienza.

“Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo”.

Gesù nell’abbandono si è fatto per noi accesso al Padre.
La parte sua è fatta. Ma per usufruire di tanta grazia anche ognuno di noi deve fare la sua piccola parte, che consiste nell’accostarsi a quella porta e nel passare al di là. Come?
Quando ci sorprende la delusione o siamo feriti da un trauma o da una disgrazia imprevista o da una malattia assurda, possiamo sempre ricordare il dolore di Gesù che tutte queste prove, e mille altre ancora, ha impersonato.
Sì, egli è presente in tutto ciò che ha sapore di dolore. Ogni nostro dolore è un suo nome.
Proviamo, dunque, a riconoscere Gesù in tutte le angustie, le strettoie della vita, in tutte le oscurità, le tragedie personali e altrui, le sofferenze dell’umanità che ci circonda. Sono lui, perché egli le ha fatte sue. Basterà dirgli, con fede: “Sei Tu, Signore, l’unico mio bene” Cf Mc 15,34 e Mt 27,46, basterà fare qualcosa di concreto per alleviare le “sue” sofferenze nei poveri e negli infelici, per andare al di là della porta, e trovare al di là una gioia mai provata, una nuova pienezza di vita.

Chiara Lubich